mercoledì 27 febbraio 2013

Lo zoning - Una questione di sicurezza... e buon senso


Situazioni come queste sono intollerabili.  
Le retate e la paura hanno spinto le donne che si prostituiscono a lavorare sempre di più in luoghi isolati, poco illuminati, quasi nascosti. E in questo modo sono maggiormente esposte a rischi e violenze
Si può dare una risposta efficace e concreta a questo problema?
Certo, basta mettere in atto lo zoning
A Venezia già funziona da diversi anni, a Napoli lo stanno impostando ed a Asti?


Francesco Carchedi e Vittoria Tola
Lo Zoning possibile. Governance della prostituzione e della tratta delle donne. Il caso di Venezia, Stoccolma ed Amsterdam”. Franco Angeli Editore 2008
 il servizio “Città e prostituzione” del Comune di Venezia opera sul campo con una visione strategica di particolare interesse, in quanto persegue un obiettivo costante che è quello definito della “zonizzazione” (o zoning, dall’inglese): ossia, persuadere coloro che esercitano la prostituzione - e finanche - la loro clientela a praticarla in determinate aree e non in altre caratterizzate dall’alta intensità abitativa. Questo approccio è piuttosto innovativo nel panorama italiano ed è quello che a nostro avviso, collegandosi alle leggi, rispetta - in ugual misura - tutti gli attori che formano il “sistema prostituzionale” (la donna coinvolta, la clientela e le Forze dell’ordine), ad eccezione, ovviamente, degli sfruttatori e le loro organizzazioni criminali.

  
Andrea Morniroli - responsabile dell'area prostituzione e tratta della Cooperativa sociale Dedalus
Si tratta di avviare un percorso per fasi e patti sociali successivi, che veda coinvolti tutti gli attori interessati, finalizzato ad individuare delle aree a bassa conflittualità sociale dove l’esercizio della prostituzione possa essere esercitato nella massima sicurezza per le persone che ne sono coinvolte, senza che tale esercizio si configuri come dannoso, fastidioso, di allarme sociale per la popolazione.
Come dimostrato dalle altre esperienze realizzate lo zoning, oltre ad abbassare i livelli di conflitto, consente di:
  • migliorare gli interventi di educazione sanitaria (fondamentali per la tutela della salute non solo delle donne e degli uomini che esercitano la prostituzione ma per l’intera comunità. Infatti, i clienti sono nella quasi totalità dei casi mariti e fidanzati e, purtroppo, come emerge con chiarezza dalle ricerche degli operatori di settore, sono spesso disposti a pagare anche tre volte in più il prezzo della prestazione pur di “fare sesso non protetto”. Quindi tutelare le donne da questo punto di vista, insegnare loro a rifiutare rapporti di tale tipo, significa non solo proteggere la loro salute - già cosa fondamentale e necessaria - ma anche quella delle mogli e delle fidanzate italiane, che, come emerge dalle ricerche di settore, hanno spesso rapporti non protetti con i loro compagni. Se si continuerà a proporre soluzioni che mirano solo a nascondere il fenomeno e non a risolvere il problema ad iniziare dalla riduzione dei rischi, si renderanno impossibili anche tali fondamentali interventi a carattere socio-sanitario).
  • mantenere costante la conoscenza sul fenomeno e sulle reti di sfruttamento.
  • attivare interventi di mediazione sociale tesi a ridurre l’allarme sociale che può determinare l’esercizio della prostituzione.
  • migliora i livelli di sicurezza delle persone prostitute/uite che, nelle attuali zone di prostituzione, sono sempre più vittime di violenze, rapine, forme di discriminazione violenta.
  • aumentare rendere costanti le relazioni tra le persone trafficate con i servizi e le forze di pubblica sicurezza. Intensificazioni delle relazioni e costruzione di legami di fiducia che come dimostrato da tutte le ricerche ed esperienze di settore, in molti casi sono la vera chiave che consente alle donne e uomini vittime di tratta di trovare la forza di fuggire e in alcuni casi di denunciare i loro sfruttatori.
Insomma, lo zoning può essere definito come un insieme di interventi, tra cui quello dell’individuazione di aree dedicate, tesi al governo delle attività di prostituzione, attraverso attività integrate ed equilibrate tra l’aiuto alla persona, la lotta allo sfruttamento, la promozione di sicurezza diffusa, l’abbassamento della conflittualità sociale.
Lo zoning NON E’ un progetto di “quartiere a luci rosse”, ma un dispositivo complesso mirato da un lato a migliorare la convivenza tra sex workers e gli altri cittadini, d’altra parte ad aumentare i livelli di sicurezza per tutti e tutte.
Lo zoning non si inventa ma va costruito, attraverso una serie di passaggi e attenzioni e specificatamente:
  • individuare le possibili aree con un processo di ricerca/azione che garantisca: l’analisi dei contesti e dei luoghi; l’elaborazione dei dati statistici e qualitativi; la definizione e comprensione dei bisogni e delle aspettative di tutti gli attori coinvolti; la realizzazione di focus group con pezzi dei gruppi di destinatari interessati.
  • contattare e far partecipare tutti gli attori interessati e tutte le parti sociali coinvolte.
  • scegliere in modo condiviso le aree su cui avviare la sperimentazione.
  • condividere e coordinare il progetto con le forze dell’ordine.
  • fornire informazioni certe e corrette sul progetto e sulle fasi della sua sperimentazione.
  • far partecipare le persone coinvolte nei circuiti prostituzionali alle fasi di promozione, produzione dei materiali, definizione degli strumenti e dei linguaggi, progettazione delle aree.
Lo zoning, ancora, anche come possibile spazio di mediazione tra la tutela dei diritti delle persone in strada e diritti delle cittadine e dei cittadini per cui la presenza della prostituzione diventa motivo di allarme e preoccupazione, a volte di conflitto. Sempre dando per scontato che non si tratta di interventi coattivi, il possibile spostamento della prostituzione da zone abitate ad altre senza la presenza di abitazioni può servire ad evitare, alla fine, esiti repressivi.
Inoltre, ad esempio per le vittime di tratta nigeriane, le più esposte alle retate e alle possibili espulsioni e che per questo si ghettizzano in luoghi estremamente sommersi e periferici, esponendosi in tal modo ad elevati rischi di violenza fisica e psicologica (furti e stupri i più frequenti), la possibilità di avere un luogo dove esercitare e dove poter incontrare in modo costante i servizi, e dove le forze dell'ordine possano intervenire non per reprimere ma per la tutela della loro sicurezza e una soluzione fortemente appetibile.


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