Nessun
margine per il buonismo, ma un confronto molto realistico sull'emergenza
profughi a poco più di un mese dai primi arrivi anche nell'Astigiano.
Un'assemblea, quella che si è tenuta lunedì sera al Centro San Secondo, che ha
messo vicino diverse esperienze e le diverse "anime" che si trovano a
dover dare accoglienza ed assistenza a 120 rifugiati politici con la
prospettiva di dover continuare ancora a lungo visto il trend degli sbarchi
sulle coste meridionali dell'Italia. Un confronto che è ruotato
sull'ineluttabilità di questo fenomeno, sull'esigenza di mettere a sistema
un'organizzazione di prima accoglienza per non rischiare sempre l'acqua alla gola
ad ogni telefonata del Viminale alla Prefettura che annuncia arrivi imminenti.
Ma
anche un'occasione per ragionare su un'occasione di piccolo indotto
occupazionale che l'arrivo dei rifugiati politici in cerca di accoglienza
possono far nascere. «Questa migrazione fa parte di un processo epocale che non
si può bloccare -ha sottolineato Alberto Mossino presidente del PIAM-
Ma per una volta, grazie ai fondi stanziati dal Governo per le diarie
giornaliere destinate a chi accoglie questi stranieri, è possibile anche far
lavorare e crescere diverse figure professionali intorno al mondo che si occupa
di loro e dare un sostegno economico alle famiglie che li prendono in
affidamento, come già capitato per 24 di loro». Ascoltati buoni esempi di
accoglienza come quello di Elisabetta Serra che ha preso in carico come
presidente dell'Ecomuseo una quindicina di pachistani ospitati nell'ex canonica
di Capriglio oppure quello di Guido Rosina, sindaco di Settime, primo
Comune astigiano ad aver aderito al progetto Pais o ancora il dottor
Varni che, in qualità di medico di base, ha accolto un po' di loro nel novero
dei suoi assistiti, non sono mancate le segnalazioni delle tante criticità
ancora aperte.
La
prima è l'incertezza sul decreto che consente a tutti gli immigrati sbarcati di
essere definiti rifugiati politici: scade il 30 giugno e, pur essendo scontata
una proroga, rimane comunque una incognita. Che si lega anche alla validità
dei fondi messi a disposizione dal Governo per l'accoglienza dei
profughi. E poi la necessità di allestire un punto di prima accoglienza
(che potrebbe essere Villa Quaglina) dove poterli alloggiare appena arrivati in
attesa di nuove sistemazioni fra le quali è privilegiata l'accoglienza diffusa
in famiglia o in piccoli gruppi. Tenendo conto che la maggior parte dei
rifugiati considera l'Italia un mero Paese di transito verso altre
nazioni europee. Un appello arriva anche dal Ctp che si occupa di organizzare i
corsi di alfabetizzazione e di italiano per i profughi: 7 maestre per 800
allievi sono decisamente insufficienti e servirebbero volontari in attesa di un
aumento di organico del Provveditore.
A
chiedere una compattazione della società di fronte a questo fenomeno migratorio
è monsignor Ravinale che, a nome della Curia astigiana, è
stato colui che ha messo a disposizione finora tutte le strutture di
prima accoglienza. «La rete virtuosa di accoglienza deve allargarsi -è
l'invito del dottor Paolo Ponta, viceprefetto vicario e coordinatore di questa
emergenza a livello locale- ma va detto che il metodo di accoglienza
diffusa dell'Astigiano è diventato un modello per tutti. Asti, in
questo, è molto più avanti rispetto ad altre province».
Daniela
Peira
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